È
giunto il tempo prestabilito da Ilùvatar per l’arrivo degli Uomini
sulla Terra. Per qualche motivo non noto, forse per la separazione dei
Valar con l’Occultamento di Valinor, Arda comincia a discostarsi
dall’Eden sovrannaturale che era stata sino ad allora e comincia ad
assomigliare al pianeta che conosciamo noi. Forse è la
presenza degli Uomini a renderla tale? Il mutamento è plasmato
dall’arrivo della “mortalità”, caratteristica degli Uomini e non degli
Elfi: i cicli vita-morte si accelerano, la vita stessa diviene più
rapida e “brulicante”, distaccandosi da quei ritmi lenti, placidi e
ieratici delle ere in cui gli dei si mescolavano ai figli di Ilùvatar.
Forse questa accelerazione verso la vita è data dal Sole: si dice
infatti che gli anni del Sole erano molto più rapidi di quelli degli
Alberi. Nonostante abbia luogo una nuova Primavera, fitta di vita, da
certe espressioni non positive (“l’aria si fece pesante degli aliti
della crescita e della mortalità”, “il mutare e l’invecchiare”) non
possiamo fare a meno di associare a questa nuova Arda un sentimento di
nostalgia per le Ere delle Stelle, le Ere degli Elfi, che vanno
declinando. In questo modo Il Silmarillion appare come una Bibbia dalla
visione Elfo-centrica e, a mio parere, instilla il desiderio nel lettore
di appartenere alla Stirpe degli Elfi, ma su questa mio opinione si
potrebbe ampiamente discutere: voi che state leggendo preferireste
essere Uomini o Elfi?
“Si computarono da allora gli Anni del
Sole. I quali sono più rapidi e brevi che non i lunghi Anni degli Alberi
in Valinor. In quel periodo l’aria della Terra-di-mezzo si fece pesante
degli aliti della crescita e della mortalità, e il mutare e
l’invecchiare di tutte le cose straordinariamente s’accelerò; la vita
brulicò sul suolo e nelle acque durante la Seconda Primavera di Arda, e
gli Eldar si moltiplicarono, e sotto il nuovo Sole il Beleriand divenne
verde e bello.”
Ancora una volta la nascita di una nuova Stirpe
avviene attraverso un “risveglio”, parallelo a quello in cui gli Elfi
si svegliarono sotto la luce delle stelle:
“Al primo alzarsi
del Sole, i Figli Minori di Ilùvatar si destarono nella contrada di
Hildórien, nelle regioni orientali della Terra-di-mezzo; il primo Sole,
però, ascese in Occidente e, aprendosi, gli occhi degli Uomini a esso si
volsero, e i loro piedi, com’essi s’aggiravano sopra la Terra, per lo
più mossero a quella volta.”
A riprova del fatto che Il
Silmarillion è una narrazione Elfo-centrica, segue un lungo elenco di
nomi con i quali gli Elfi si riferirono agli Uomini: molte di queste
espressioni non sono per nulla lusinghiere e rivelano come gli Elfi
considerassero strana e negativa sia la mortalità degli Uomini sia la
loro paura per il buio della notte, che tanto invece loro amavano. I
nomi meno negativi sottolineano comunque che gli Uomini sono arrivati
dopo di loro:
“Atani essi furono denominati dagli Eldar, cioè il
Secondo Popolo; ma li chiamarono pure Hildor, i Successivi, e con molti
altri nomi: Apanónar, gli Ultimi Nati, Engwar, i Malaticci, e Fìrimar, i
Mortali; e li denominarono Usurpatori, Stranieri e Imperscrutabili, i
Maledetti-da-sé, i Manigrevi, i Temi-la-notte, i Figli del Sole.”
Gli Uomini non hanno avuto contatti con i Valar, che non li hanno
invitati a raggiungere Valinor, e anzi appaiono loro come oscure Potenze
incomprensibili. Questa è in effetti la visione a noi nota degli Dei in
epoche antiche. Solo Ulmo, il Vala del mare e di tutte le acque, ha a
cuore il destino degli Uomini e cerca di mantenere con loro una
comunicazione, che tuttavia non è compresa, rivelando come gli Uomini
appaiano ottusi e legati alla Terra:
“Ciò non toglie che Ulmo
si prendesse cura di loro, assecondando la volontà e gli intendimenti
di Manwë; e spesso i suoi messaggi giungevano agli Uomini per via di
correnti e flussi. Ma gli Uomini mancano di perizia in faccende del
genere, e tanto più in quei giorni, prima di mischiarsi agli Elfi. Per
cui amavano le acque, e i loro cuori ne erano sommossi, ma non ne
comprendevano i messaggi.”
Di nuovo una visione Elfo-centrica:
la voce del narratore esprime il punto di vista degli Elfi, che si
chiedono con curiosità quale sia il destino degli Uomini, per natura
mortali, visto che loro, diversamente, vivono per sempre o, in caso se
ne provochi innaturalmente la morte, raggiungono le Aule di Mandos:
“Gli Uomini invece erano più fragili, più facilmente uccisi da armi o
incidenti, e meno facile ne era la guarigione; erano soggetti alla
malattia e a molti morbi, e invecchiavano e morivano. Non sanno gli Elfi
che cosa ne sia dei loro spiriti dopo il decesso. V’è chi dice che
vadano nelle aule di Mandos; ma il loro luogo di attesa quivi non è lo
stesso degli Elfi e, sotto Ilùvatar, Mandos solo, e con lui Manwë,
conoscono dove vanno dopo il tempo della radunanza in quelle silenziose
aule presso il Mare Esterno. Nessuno è mai tornato dalle case dei
morti, con l’unica eccezione di Beren figlio di Barahir, la cui mano
aveva toccato un Silmaril; ma in seguito egli mai parlò con Uomini
mortali. Può essere che, dopo il decesso, il fato degli Uomini non sia
nelle mani dei Valar, né tutto è stato predetto nella Musica degli
Ainur.”
Sul destino mortale degli Uomini, visto come dono e
opportunità, piuttosto che come elemento negativo, torneremo in un post
dedicato all’argomento.
In seguito tuttavia gli Uomini
divennero amici degli Elfi Scuri, così detti perché non avevano mai
raggiunto Valinor durante la migrazione: non avendo mai avuto contatti
con i Valar, anche loro li consideravano come entità lontane e
imperscrutabili. Vi fu perciò un lungo tempo in cui Elfi e Uomini
strinsero grandi alleanze. Vedremo come Finrod Felagund incontrerà gli
Uomini, che lo seguiranno fedelmente e combatteranno per lui: per la
riconoscenza verso un Uomo - Barahir - Finrod seguirà il figlio Beren
nella sua epica riconquista di un Silmaril, venendo in fine ucciso per
difenderlo da Sauron!
Al termine del capitolo però torna quella
nota malinconica sulla scomparsa degli Elfi dalla Terra, quasi dovuta
agli Uomini che con la loro presenza finirono con il soppiantarli. Ma la
speranza viene dal fatto che Uomini ed Elfi in alcuni casi unirono le
due Stirpi, generando tra i più grandi eroi che siano mai vissuti:
“In tempi successivi, quando, a cagione del trionfo di Morgoth, Elfi e
Uomini si estraniarono, cosa che sommamente quegli bramava, coloro della
razza elfica che ancora vivevano nella Terra-di-mezzo declinarono e
languirono, e gli Uomini usurparono la luce del sole. Allora i Quendi
(gli Elfi, ndr) migrarono nei luoghi solitari delle grandi terre e isole
e si affezionarono al lume di luna e stelle, ai boschi e alle caverne,
divenendo quali ombre e memorie, salvo coloro che ogni tanto facevano
vela per l’Occidente e sparivano dalla Terra-di-mezzo. Ma, all’alba
degli anni, Elfi e Uomini erano alleati e si consideravano consanguinei,
e vi fu tra gli Uomini chi apprese la sapienza degli Eldar e divenne
grande e valente tra i capitani dei Noldor. E la gloria e la bellezza
degli Elfi, siccome il loro destino, erano toccati in retaggio ai
rampolli di elfi e mortali Eärendil ed Elwing, nonché a Elrond loro
figlio.”