mercoledì 14 ottobre 2015

16) Melkor si allea con la gigantesca aracnide Ungoliant e uccide gli Alberi sacri!




La straordinaria grandezza di questo passaggio dell’opera potrà risuonare solo nelle parole dell’autore, per cui vi auguro buona lettura per quei passi che sceglierò di trascrivere nella loro completezza.

Melkor fugge, ancora una volta inseguito da Tulkas e Orome, ma riesce a raggiungere una regione del sud che si chiama… Avathar (!!!), dove ha posto la propria dimora Ungoliant, un ragno femmina gigantesco (da cui discenderà la Shelob de Il Signore degli Anelli):
“di luce aveva sete e insieme la odiava. In un burrone viveva, e assumeva forma di ragno dall’aspetto mostruoso, tessendo le sue negre tele in un crepaccio tra i monti. Quivi succhiava tutta la luce che riusciva a trovare, e poi la filava in scure reti di soffocante tetraggine, finché nessun’altra luce poteva penetrare nella sua dimora; e allora era colta da fame.”
Melkor trama con lei la vendetta e per convincerla le dice:
“«Fa’ come ti ho detto; e se avrai ancora fame quando tutto sarà fatto, io ti darò tutto ciò che la tua brama possa esigere. Proprio così, e a piene mani». A cuor leggero pronunciò tale promessa, come del resto sempre faceva; e dentro di sé rise. Così il grande ladro preparava l’esca per il minore.”
Il buio ed il vuoto sono gli elementi che hanno caratterizzato Melkor sin dai primi istanti, e così:
“Un mantello di tenebra Ungoliant tessè dunque attorno a loro due, allorchè con Melkor si mise in cammino: un Buio in cui le cose sembravano più non essere, e che l’occhio non poteva penetrare, poichè era vuoto.”

Assistiamo impotenti all’inarrestabile, mostruosa, ritmata arrampicata del gigantesco insetto:
“Poi, lentamente, svolse le sue reti: fune per fune, da crepaccio a crepaccio, da spuntone roccioso a pinnacolo liteo, sempre salendo, strisciando e aggrappandosi, sino a raggiungere la sommità della Hyarmentir, la montagna più alta in quella regione del mondo”

I Valar sono nel frattempo radunati con tutti gli Elfi in una grande festa. In questa occasione Feanor si riconcilia con il fratello Fingolfin, che, nobile e fedele, dichiara che lo seguirà sempre come una guida. Tuttavia vediamo che Fëanor ormai non vuole nemmeno più mostrare i Silmaril ad alcuno e li tiene chiusi in una stanza di ferro (che, con la sua freddezza e amarezza, quanto ci appare come una triste prigione per quei gioielli vivi, che dovrebbero splendere per tutti alla luce).

La terribile scena in cui Melkor e Ungoliant si avventano sugli Alberi e li distruggono è dipinta con l’epico e tragico contrasto di luce e buio che si avvicendano, della la vita sacra che viene strappata, profanata e prosciugata orribilmente dal fetido mostro. Il climax che Tolkien crea in un crescendo di violenza deturpante si scioglierà poco dopo nel buio, calmo silenzio della rovina.

“Si narra che, mentre Fëanor e Fingolfin erano di fronte a Manwë, si verificò la mescolanza delle luci, poiché entrambi gli Alberi splendettero e la silente città di Valmar fu ricolma di una radianza d’argento e oro. E proprio in quell’ora, Melkor e Ungoliant venivano di fretta sopra i campi di Valinor, così come l’ombra di una negra nube portata dal vento scivola sulla terra soleggiata; e giunsero davanti al verde tumulo Ezellohar. Poi il Buio di Ungoliant
salì fino alle radici degli Alberi, e Melkor balzò sul tumulo; e con la sua nera spada percosse fino al midollo ambo gli Alberi, li ferì a fondo, e la linfa ne sgorgò quasi fosse sangue, e si sparse sul terreno. Ma Ungoliant la succiò e, andando poi di Albero in Albero, accostò il suo nero becco alle loro ferite, fino a essiccarli affatto; e il veleno di Morte che era dentro di lei penetrò nei loro tessuti e li imbozzacchì, radici, rami e foglie; ed essi morirono. Ma la sete di Ungoliant non era ancora saziata, ed essa andò ai Pozzi di Varda e li prosciugò; e mentre beveva, eruttava neri vapori, gonfiandosi fino ad assumere forma così vasta e orrenda, che Melkor ne fu spaventato.”

L’avida, oltraggiosa fame del mostro arriva a profanare anche i Pozzi della dea Varda, in cui venivano raccolte le sante rugiade di luce degli Alberi. Non ne resta più nulla. La voracità del mostro è talmente incontrollabile che persino Melkor ne è travolto e spaventato!

E’ giunto l’ottenebramento di Valinor. Tutta la terra benedetta di Aman ripiomba in un freddo buio, che persisterà sino alla nascita del Sole e della Luna. La Tenebra che si genera sembra dotata di vita propria, e le parole di questo passo risuonano in un notturno pieno di un silenzio interrotto solo dalle strida di un paesaggio marino:

“Così, la grande tenebra piombò su Valinor. Dei fatti di quel giorno molto si narra nell’Aldudénië, composto da Elemmìrë dei Vanyar e noto a tutti gli Eldar. Ma nessun canto né narrazione potrebbe capire in sé tutto il dolore e il terrore che ne discesero. La Luce mancò; ma la Tenebra che le fece seguito fu ben più che la sua perdita. In quell’ora si formò infatti una Tenebra che sembrava, non già mancanza, bensì una cosa dotata di vita propria, prodotta in verità com’era, malvagiamente, mediante la Luce, e aveva il potere di trafiggere l’occhio e di penetrare cuore e mente e di soffocare la volontà stessa.
Varda guardò giù da Taniquetil e scorse l’Ombra montare in abrupte torri di cupezza; Valmar era sommersa in un profondo mare notturno. Ben presto la Sacra Montagna si levò, sola, ultima isola in un mondo annegato. Ogni canto cessò. Vi fu silenzio in Valinor, e nessun suono poteva udirsi, salvo che, da lungi sulle ali del vento, per il passo dei monti, giungeva il lamento dei Teleri simile allo stridio freddo di gabbiani. Perché da est in quell’ora alitò algore, e le vaste ombre del mare rotolarono contro le mura della riva.”
 

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